DIACONESSE NELLA CHIESA ANTICA
Autore: Angelo Di Berardino
INDICE
- Introduzione
- Etimologia
- Importanza delle donne
- Funzioni
- Un po 'di storia
- Concluzione
- Bibliografia e note
1. Introduzione
Per noi il termine diacono, che deriva del greco, indica un ministero ecclesiale di una persona che svolge un ufficio nella chiesa ed ha una certa autorità. Egli può amministrare anche alcuni sacramenti, come celebrare il matrimonio e il battesimo. Invece originariamente il termine suggerisce soprattutto il concetto di servizio. In greco esistono altri termini che indicano l’idea del servire, come per esempio doulos, che implica la sfumatura del servizio di uno schiavo. Maria, all’annuncio dell’angelo, risponde con le parole: “Eccomi, sono la serva (doule; in latino ancilla) del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Luca 1,38). Il doulos è uno schiavo e fa un servizio da schiavo e viene tradotto in latino con il termine di servus, cioè schiavo. Maria è la doule, cioè si considera come una schiava nel senso tecnico del termine. Si trova nella condizione della schiava, che in latino si dice serva oppure ancilla. Lo schiavo presta un servizio non libero e volontario, ma coatto e secondo la volontà del padrone o della padrona. Qualunque tipo di servizio è cosa indegna di una persona libera e non schiava.
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2. Etimologia
Il termine greco diaconos viene traslitterato in latino in diaconus; la sua forma verbale diaconeo significa servire, assistere, servire a tavola e implica qualcosa di più personale, nel senso “che è maggiormente accentuato il concetto di servizio compiuto per amore”. Nel Nuovo Testamento il diacono è colui che serve a tavola e veste in modo diverso dal suo padrone, altrettanto avviene per la schiava (Luca 17,18; Giovanni 12,2). I servi attenti e premurosi sono premiati dal padrone (Luca 12,37). Gesù innalza la dignità del servire; il servizio acquista un alto valore morale capovolgendo il rapporto tra servito e serviente. “Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Luca. 22 ,26-27). Cristo è venuto a servire (Matteo 20,28). Negli Atti degli apostoli vengono eletti Sette per servire alle mense; gli apostoli invece sono i diaconi della Parola (6,2-6). Il termine diaconia indica servizio; tale servizio si esplica in tanti modi (predicazione, annunciare il vangelo, l’aiuto agli altri, ecc.). Nelle comunità nascenti compaiono i diaconi e sono quelli che hanno un ufficio. Paolo nella Lettera ai filippesi saluta i ‘vescovi e i diaconi’ (1,1; 1 Timoteo 3,ss), che svolgono due uffici coordinati.
Il termine diacono in greco non ha una forma femminile e una maschile; il genere è indicato mediante l’articolo femminile o maschile. Il concilio di Nicea usa il termine femminile di diaconessa (can. 19). Il nostro pericolo è che intendiamo un termine con il significato tecnico posteriore. Così sbagliamo. Anche in questo caso?
Le donne hanno un ruolo importante nell’attività di Gesù. Lo seguono e lo servono con le loro ricchezze. “Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni” (Luca 8,2-3).
Nelle lettere paoline ci sono diverse informazioni su donne che hanno lavorato al servizio del vangelo. Anzitutto l’infaticabile Priscilla insieme al suo marito Aquila. Essi hanno lavorato con Paolo e per Paolo con zelo infaticabile rischiando la loro vita: “Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa, e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili; salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa” (Romani 16,3-4; 1 Corinzi 16,19). Sia a Roma che ad Efeso questi due sposi riuniscono cristiani nella loro casa. Evodia e Sintiche hanno lavorato con Paolo a Filippi (Filippesi 4,2-3).
Paolo raccomanda alla comunità di Roma una donna di Cencre, porto orientale di Corinto, di nome Febe, con queste parole: “Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre: ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch'essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso” (Romani 16,1-2). Febe aveva svolto intensa attività caritativa ed ora si recava a Roma. In che senso Febe era una diaconessa? Aveva un ufficio parallelo ai diaconi oppure la sua diaconia era consistito nel rendere servizi alla comunità? Gli studiosi discutono se nella Prima lettera a Timoteo (3,1ss) si parla delle mogli dei diaconi oppure delle diaconesse. Il versetto seguente, l’11, è: “Allo stesso modo le donne siano dignitose, non pettegole, sobrie, fedeli in tutto”. Il versetto 12 di nuovo si parla dei diaconi. Ci si domanda se anche il versetto undicesimo si riferisce alle diaconesse. Così è stato interpretato da alcuni autori antichi.[2] Quello che è certo è che anche le donne si impegnano per il bene delle comunità cristiane ed alcune svolgono un ufficio di servizio. In particolare le vedove hanno importanza per la loro condizione sociale e per quello che fanno. Con le vedove si nominano anche le vergini. Le une e le altre svolgono attività caritativa.
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3. Importanza delle donne
Le donne sono molte importanti nelle origini del cristianesimo con la loro azione spesso silenziosa, ma efficace, contribuiscono alla sua diffusione. Esse, in vario modo, aiutano con il loro contributo.[3] Clemente Alessandrino (Stromata 3,6,53), commentando il testo della 1 Corinzi 9,5, osserva che le donne, accompagnando gli apostoli, favoriscono la loro missione, “facendo penetrare l’insegnamento del Signore nelle stanze delle donne senza dare adito a maldicenze”. Origene commentando passo della Lettera ai romani (Comm. in Rom. 10,17), scrive che a tale diaconato delle donne possono accedere quelle che hanno prestato “assistenza a molti e che con le loro buone opere hanno meritato l’elogio degli apostoli”. La Prima lettera a Timoteo descrive le qualità che devono avere i diaconi (3,8-10). Questi due autori non danno altre informazioni sulla reale esistenza di diaconesse nel loro tempo.
Il governatore della Bitinia e Ponto – regione occidentale dell’Asia Minore -, Plinio il Giovane, nella lettera a Traiano (Ep. 10,96,8) del 111 circa, parla delle torture cui sono state sottoposte due ministrae (due donne di servizio) per estorcere da loro informazioni sui correligionari. Si pensa che il termine latino ministra corrisponda al termine greco diacono. Non sappiamo quali fossero le loro mansioni e se il termine abbia già significato specifico. In questo caso Plinio, un pagano, interpreta un termine greco, che dovrebbe essere diaconi tradotto in latino, secondo la sua esperienza religiosa e secondo le mansioni che le donne svolgono nel culto pagano.
Il primo testo che parla ampiamente delle donne e del loro ministero è la Didascalia Apostolica, composta in Siria nella prima metà del terzo secolo. Si è conservata in greco, in siriaco e in frammenti latini. Essa ne parla in diversi capitoli, affermando tra l’altro: “La diaconessa sarà onorata da voi in luogo dello Spirito santo” (2,26,6; Costituzioni apostoliche 2,26). La dettagliata descrizione del suo ministero indica che l’istituzione non era recente, ma già aveva una storia, che non possiamo ricostruire, perché non ci sono fonti, che invece nominano frequentemente i diaconi e le diaconesse. La Didascalia riguarda il territorio della Siria e non altre regioni.
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4. Funzioni
La loro funzione è quasi parallela a quella del diacono, come collaboratrice del vescovo ed è scelta liberamente da lui. Il vescovo deve istituire: “una donna per il ministero delle donne. Ci sono case, infatti, dove non può essere inviato un diacono alle donne, a causa dei Gentili, ma invia una diaconessa anche, perché in alcune altre faccende l’ufficio di una diaconessa è necessario. In primo luogo, quando le donne si immergono nell’acqua, è richiesto che siano unte dalle diaconesse con l’olio dell’unzione, mentre entrano nell’acqua. E se non c’è una donna, e in particolare non c’è una diaconessa, è necessario che colui che battezza unga colei che è stata battezzata. Ma se c’è una donna e in particolare una diaconessa, non è opportuno che le donne siano viste dagli uomini” (Didascalia 3,12,1-2). La presenza delle diaconesse è richiesta per ragioni pratiche. “Per questo motivo, diciamo che il ministero di una donna diacono è richiesto e urgente (3,12,4).[4]
Poco oltre l’ignoto autore della Didascalia elenca altre attività della diaconessa: “E quando colei che è stata battezzata esce dall’acqua, la diaconessa la accolga e le insegni e la educhi che l’infrangibile sigillo del battesimo è (conservato) nella castità e nella santità. Per questo motivo, diciamo che il ministero di una donna diacono è richiesto e urgente. Infatti anche nostro Signore e Salvatore era servito dalle diaconesse che erano Maria Maddalena, e Maria figlia di Giacomo e madre di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo, con altre donne come è bene” (Didascalia 3,12,3). Le diaconesse non solo devono collaborare con il vescovo nell’amministrazione del battesimo alle donne, le devono anche istruire nella conoscenza della fede e dell’etica cristiana con la parola e con l’esempio.
L’esigenza delle diaconesse per l’amministrazione del battesimo viene illustrata da Epifanio di Salamina.[5] Le diaconesse fanno visita alle donne che sono malate e le lavano quando cominciano a stare meglio; possono entrare nelle case dove l’ingresso dei diaconi o dei presbiteri potrebbe creare qualche maldicenza. Il ministero della diaconessa e del diacono, sotto molti aspetti e non in tutte le mansioni, sono paralleli. Quello del diacono è più esteso. Ambedue sono stretti collaboratori del vescovo, che ha la più ampia e completa responsabilità. La Didascalia non parla del rito dell’istituzione della diaconessa.
Le Costituzioni apostoliche, della fine del quarto secolo, dipendono dalla Didascalia, riportando idee e anche delle frasi quasi testuali. Anch’esse provengono dalla Siria. Includono le diaconesse tra il clero. Il termine clero non aveva lo stesso significato odierno. Le Costituzioni accennano ad un rito di ordinazione mediante l’imposizione delle mani e una preghiera simile a quello del diacono. Però anche nelle Costituzioni il ruolo della diaconessa è inferiore a quello del diacono. “Considera la diaconessa come rappresentante dello Spirito Santo. Essa non parla e non fa nulla senza il diacono; come nemmeno il Consolatore dice o fa qualcosa da sé, ma glorificando Cristo, segue la sua volontà. E poiché non possiamo credere in Cristo senza l'insegnamento dello Spirito, così nessuna donna si rivolga al diacono o al vescovo senza l’intermediazione della diaconessa” (Costituzioni 2,26,6). La diaconessa – vergine o vedova - controlla la porta delle donne e si dedica a opere di carità; non amministra il battesimo, ma assiste il vescovo nel battesimo per l’unzione delle donne; non benedice, non assiste il vescovo durante l’oblazione, non distribuisce la comunione ai fedeli. “La diaconessa non benedice, né compie nulla che appartenga all'ufficio di presbiteri o diaconi, ma si limita a custodire le porte e ad assistere i presbiteri nel battesimo delle donne, a motivo della decenza” (Costituzioni 7,28). Collabora con il vescovo nell’amministrazione del battesimo. La diaconessa è l’intermediaria del vescovo per le donne.
Secondo le Costituzioni apostoliche i suddiaconi controllano le porte dove entrano gli uomini, mentre le diaconesse quelle delle donne (2,52). Sembra che il suo ufficio corrisponda all’ostiario della chiesa latina. Il fatto di avere due porte diverse rispecchia un comportamento diverso per le donne e gli uomini in località diverse, cioè quello siriaco. Le diaconesse svolgono anche un ufficio caritativo. Una fonte posteriore che nomina le diaconesse è il Testamento di Nostro Signore, anch’esso composto in Siria e dipendente dalla Tradizione apostolica. In questo testo del terzo secolo si menzionano i diaconi e non le diaconesse. La differenza indica un’evoluzione avvenuta nel frattempo.
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5. Un po 'di storia
Il concilio di Nicea, nel canone 19, prescrive: “Ricordiamo a proposito delle diaconesse riconosciute essere nella stessa condizione, che poiché non hanno avuto un'imposizione delle mani, vanno calcolate a tutti gli effetti tra i laici”. Il concilio parla esplicitamente un’ordinazione secondo il rito dei presbiteri o dei diaconi, cioè mediante l’imposizione delle mani del vescovo accompagnata da una speciale preghiera”.
Invece il concilio di Calcedonia parla dell’imposizione delle mani (cheirotonia) per l’ordinazione diaconale delle donne come fatto normale (canone 15): “Una donna non venga ordinata diacono prima dei quarant'anni, e comunque dopo un esame accurato. Se poi, dopo aver ricevuto l’imposizione delle mani e avere trascorso qualche tempo nell'esercizio del ministero, si sposasse, offendendo la grazia di Dio, sia colpita da anatema insieme con chi a lei si è unito”.[6] Il concilio in Trullo ricorda solo che una diaconessa non venga ordinata prima 40 anni (canone 14). Bisogna tenere presente che il concilio di Calcedonia usa il termine cheirotonia anche per gli ordini minori (canoni 2 e 6). Pertanto il termine è ambiguo.
Il rito caratteristico delle ordinazioni è quello dell’imposizione delle mani o della mano sulla persona da ordinare. Da qui sorge la domanda: quello della diaconessa è uguale a quello del diacono? La differenza è data non dal gesto dell’imposizione delle mani ma dalla preghiera concomitante. Infatti il gesto dell’imposizione della mano avveniva in numerose occasioni: una benedizione, un esorcismo, ecc.
Basilio di Cesarea afferma che la diaconos, se ha commesso un peccato di fornicazione con un pagano, deve compiere sette anni di penitenza per tronare al suo ufficio (Ep. can. 44). Il canone suppone l’esistenza del celibato, come pure il concilio di Calcedonia del 451, citato sopra. Conosciamo i nomi di diverse diaconesse tra il quarto e il quinto secolo. La più conosciuta è Olimpia di Costantinopoli, amica di Giovanni Crisostomo.
Le fonti letterarie sulle diaconesse non abbondano. Le iscrizioni possono essere di un certo aiuto, ma non sempre. Le loro informazioni sono alquanto scarne e non indicano le loro precise mansioni. Si limitano a ricordare solo il nome e l’ufficio.[7]
Alcune iscrizioni attestano l’esistenza di diaconesse sposate, come quella Nonna della cittadina di Gdanmaa (oggi Çeşmelisebil) in Licaonia (Turchia) che dedica l’iscrizione a suo figlio Alessandro presbitero.[8] Verso la metà del secolo quinto, nella stessa cittadina, una iscrizione del diacono Eugenio, dedica una tomba alla sua moglie Tecla e alla madre, Matrona, diaconessa, e ad altre persone.[9] Nella città di Laodicea, la diaconessa, Eistrateges, appare come dedicante del sepolcro per tre defunti (al marito Mennas, alla cognata Alexandria e al figlio, Domnos.[10] Una testimonianza inaspettata è una iscrizione proviene da Laodicea di Pisidia, in Turchia, la quale ricorda una diaconessa di nome Elaphia, che appartiene alla setta degli encratiti: “diaconessa della religione degli encratiti”. Con suo fratello ha eretto una tomba per il presbitero Petros.[11] L’iscrizione mostra che ancora nel quinto secolo esistono in quella regione degli encratiti, che hanno anche un clero e qualche luogo di culto.
Nella Cappadocia una iscrizione del sesto secolo suona così: “Qui giace la diaconessa Maria di pia e benedetta memoria, che seguendo le parole dell'apostolo, allevò i figli, accolse gli estranei, lavò i piedi dei santi e ha condiviso il suo pane con i bisognosi. Ricordala, Signore, quando lei verrà nel tuo regno”.[12]
Una iscrizione trovata vicino al Monte degli olivi a Gerusalemme è dedicata alla diaconessa Sofia: “Qui giace la schiava e la sposa di Cristo, Sofia, la diaconessa, la seconda Febe”.[13] Questa Sofia, in quanto sposa di Cristo, era vergine, in quanto seconda Febe, era diaconessa. Nell’isola di Delfi è stata rinvenuta una bella iscrizione: “La piissima diaconessa [diaconissa] Atanasia, che trascorse una irreprensibile e decorosa vita, fu insediata come diaconessa dal santissimo vescovo Pantiamianos. Ha costruito questo monumento. Qui giacciono i suoi resti mortali”.[14]
Eutimio il grande, santo (377-473; festa il 20 gennaio) è figlio di una diaconessa, Dionisia. Questa affida il figlio di tre anni al vescovo Otreio di Melitene (Malataya, in Cappadocia, Turchia), che subito lo battezza e lo fa lettore e a diciannove anni lo ordina presbitero. Oppure come Pentadia, alla morte del marito, diventa diaconessa (Giovanni Crisostomo, Ep. 94: PG 52,657). Teodoreto di Cirro indirizza una lettera di condoglianze alla diaconessa Casiana in occasione della morte del marito (PG 83,1195).
Nel sesto secolo l’imperatore Giustiniano (†565) pubblica tre novellae. Nella prima, la Novella tre, del 535, stabilisce che la Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli non può avere più sessanta presbiteri, di cento diaconi e di quaranta diaconesse (3,1). Nella seconda, la sei, anche del 535 (6,6) si afferma che le diaconesse, per essere ordinate, devono avere almeno 50 anni di età e possono essere prese tra le vedove o le vergini; nel caso che fossero più giovani devono abitare nei monasteri. Le altre devono vivere sole oppure con i parenti. In caso si sposassero, esse perdono i loro beni. Nella 123 del 546, l’imperatore stabilisce che non si possono ordinare i presbiteri meno di 35 anni, i diaconi e i suddiaconi meno di 25 e le vedove meno di 40 (123,13). Per Giustiniano le diaconesse non hanno la stessa condizione dei diaconi, ma sono inferiori. Se peccano, subiranno una pena maggiore.
Il diaconato femminile si diffonde nel Medioriente specialmente a partire dal quarto secolo fino all’undicesimo secolo, specialmente nel mondo siriaco. Esse sono presenti a Costantinopoli, nel mondo greco, nell’Asia Minore, ma specialmente nella Siria, ma anche in Armenia e in Egitto, anche se in maniera ridotta.[15] Sembra che l’esigenza di avere diaconesse è dovuta dal fatto che in quegli ambienti esiste una maggiore riserva nei rapporti tra uomini e donne. Qualcosa come oggi nel Medioriente. Non c’è quella libertà occidentale del mondo nei rapporti tra uomini e donne.
In Occidente il diaconato femminile praticamente non è esistito, se con alcune eccezioni. Cito la ricerca dell’epigrafista Antonio Felle sull’argomento: “In quest’ultimo caso si tratta di una iscrizione, funeraria come le altre due, databile tra la fine del IV e gli inizi del secolo V, dedicata ad una tale Civica, Dei minister associata ad un Secundus, definito amator pauperum: sarebbe questa l’unica — e non certissima — attestazione di una presenza femminile nel diaconato d’ambito africano. Le poche altre — in tutto cinque — testimonianze di donne in riferimento all’istituzione diaconale in ambito occidentale (a Roma e in Italia) hanno anch’esse carattere di forte incertezza o quanto meno di ambiguità, dovuta alla presenza sistematica dell’esplicita menzione di legami parentali con ecclesiastici. Nunita, menzionata come matrona diaconis nell’epitaffio metrico della figlia Maximilla sepolta nel nel mausoleo cd. della Platonia presso la Basilica Apostolorum è coniuge di un diacono, come anche la diacona Palumba, deposta ad Atripalda nel 537 con il marito Leone. Incerto il riferimento ad una anonima arcediaconis[sa] - termine che peraltro non ha ulteriori attestazioni - in un frammento opistografo databile alla prima metà del sec. V rinvenuto nella basilica di s. Paolo f.l.m.; da questo medesimo contesto monumentale proviene anche un architrave donato ex voto nel secolo V dalla diaconessa Anna insieme ad un suo fratello, Dometius, diac(onus) et arcarius s(an)c(t)ae sed(is) apostol(icae) adque p(rae)p(ositus). Solo nell’epitaffio di una tale Theodora, deposta nel 539 a Pavia, il termine diaconissa appare svincolato da espliciti legami di tipo parentale e quindi potenzialmente significativo di un ruolo effettivamente ricoperto dalla defunta nella gerarchia. Le restanti venticinque attestazioni di diaconesse sono nella diocesi d’Asia, tutte funerarie, con due sole eccezioni: in queste iscrizioni il titolo di diaconessa pare essere nella massima parte dei casi svincolato da legami di tipo parentale, come invece rilevato nei casi occidentali (dove il titolo pare derivare sistematicamente dall’essere moglie o sorella di un diacono)”.[16]
Il fatto che alcuni concili della Gallia condannano la loro ordinazione è indice che in alcuni casi i vescovi le ordinano. Per esempio, il concilio di Nîmes organizzato contro i priscilliani del 396, afferma: “sembra che delle donne, non si sa dove, siano state elevate al ministero diaconale; cosa che la disciplina ecclesiastica non ammette, in quanto è sconveniente” (can. 2). La proibizione è ripetuta nel concilio di Orange del 441: “Non devono essere ordinate diaconesse: se già ve ne sono pieghino il capo alla benedizione che è riservata al popolo” (can 26).[17] Anche altri concili posteriori condannano le diaconesse. Il concilio di Épaone nel regno burgundo del 517: “Abroghiamo completamente su tutto il nostro territorio la consacrazione delle vedove che si chiamano diaconesse. Se desiderano convertirsi, deve essere imposta loro la sola benedizione penitenziale” (can. 22). Qui non si tratta di vere diaconesse, ma di un appellativo onorifico.[18] E poi il concilio di Orléans del 533, can. 17. La ripetizione della condanna probabilmente rispecchia un influsso orientale in qualche diocesi; in altri casi non si tratta di diaconesse in senso stretto.
Le testimonianze sia di carattere letterario che archeologiche non abbondano per l’Occidente latino. Ho accennato alla documentazione letteraria; esiste anche quella epigrafica, altrettanto preziosa. Da questa emerge che rarissime sono le attestazioni occidentali; molte sono invece quelle orientali.
Fanno parte del clero? Secondo il prezioso volume di Martimort, esse non sono fanno parte del clero e non ricevono la cheirotonia, cioè l’imposizione delle mani, come segno di ordinazione, secondo Martimort. Le Costituzioni apostoliche riportano una preghiera di ordinazione e l’imposizione delle mani; il citato canone 19 di Calcedonia accenna all’imposizione delle mani (o della mano) (7,26). L’ L'Eucologio Barberini Gr. 336, dell’ottavo secolo, riporta una preghiera di ordinazione delle diaconesse. Bisogna osservare che il gesto dell’imposizione delle mani ha molte valenze e il suo significato è dato dalle parole pronunciate.[19]
La presenza delle diaconesse nelle chiese variava. Non c’era una uniformità. In alcune la loro attività veniva considerata essenziale, in altre utile e complementare, in altre totalmente assente. In alcune chiese le diaconesse dovevano essere vergini o vedove; in altre soltanto vergini. Un fatto è evidente che esse sono scomparse in tutte le chiese in tempi diversi. Le ragioni? Alcuni pensano che la causa sia stata la diffusione del battesimo dei bambini, altri a fattori culturali che hanno determinato la diminuzione del ruolo della donna.
Nelle chiese le donne non appartenevano al coro per cantare nelle chiese durante la liturgia; forse solo a Milano al tempo di Ambrogio. Invece era abituale nelle chiese di lingua siriaca. Qui l’impegno delle Figlie dell’Alleanza era quella del ministero della musica sacra, eseguita nel nelle assemblee liturgiche della comunità ecclesiale, alla presenza del clero e dei fedeli. Un servizio esclusivo di quelle donne.
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6. Concluzione
L’interesse oggi per lo studio delle diaconesse nella storia nasce dal desiderio di restaurare la loro funzione nelle chiese odierne, in particolare in quelle ortodosse e in quelle cattoliche. Si vuole conoscere la loro funzione, le loro attività, il loro statuto ecclesiale, i requisiti e le loro condizioni all’interno delle comunità antiche. Anche si c’era una vera ordinazione oppure soltanto un rito di nomina. Concludo affermando che il termine diaconessa diventa tecnico, ma conserva sempre una certa ambiguità, perché in taluni casi significa una vedova che presta servizio di carità.
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7. Bibliografia e note
[1] A.G. Martimort, Les diaconesses, Roma 1982 (un classico; Martimort afferma che le diaconesse non appartengono al clero); P. Sorci, Diaconato ed altri ministeri liturgici della donna, in U. Mattioli (a cura di), La danna nel pensiero cristiano antico, Milano 1992, 331-364; A.D. Salapatas, The Liturgical Role of the Deaconess in the Apostolic Constitutions: OCP 68(2001)561-578; John Wijngaards, No Women in Holy Orders? Ancient Women Deacons, Canterbury, 2002 (considera le diaconesse membri del clero); Women Deacons: Essays with Answers, ed. Phyllis Zagano, Collegeville, Minn.: Liturgical Press, 2016
[2] Clemente di Alessandria, Stromata 3.6.53; Giovanni Crisostomo. In Epistola 1 ad Timotheus 3, hom. 11,1,
[3] Angelo Di Berardino, Women and spread of Christianity in the first Centuries, in Augustinianum 55(2015), pp. 305-337
[4] La traduzione latina della Didascalia usa il termine diaconissa (Erik Tidner, ed., Didascaliae apostolorum, Canonum ecclesiasticorum: Traditionis apostolicae, versiones latinae, Berlin 1963, pp. 42, 59, 111.
[5] Adversus haereses 59,3,6: PG,42,745.
[6] Balsamone, alla fine del XII secolo, commentando questo canone, osserva la prassi ormai è in disuso. Le diaconesse non erano ordinate e il nome diaconessa era usato per quelle che appartenevano ad una comunità ascetica.
[7] U.E. Eisen, Women Officeholders in Early Christianity: Epigraphical and Literary Studies, Collegeville 2000 (molto incompleta per l’epigrafia). Meglio, A. Felle, Diaconi e diaconissae tra Oriente e Occidente. L’apporto della documentazione epigrafica, in Διακονία, diaconiae, diaconato. Semantica e storia, Roma 2010, pp. 489-537
[8] Monumenta Asiae Minoris Antiquae VII, 113 nr. 539 e 143: sec. IV.
[9] Monumenta Asiae Minoris Antiquae, I, 199 nr. 383; Ute E. Eisen, Women officeholders, 169, 191 nr. 78.
[10] Monumenta Asiae Minoris Antiquae I, 171 nr. 324; Ute E. Eisen, Women officeholders, 168: secolo IV.
[11] Monumenta Asiae Minoris Antiquae VII, 13 nr. 69 a-b, pl. 5.
[12] Ute E. Eisen, Women officeholders, 164-167.
[13] Ute E. Eisen, Women officeholders, 159.
[14] Ute E. Eisen, o.c., pp. 176-177.
[15] U. Zanetti, Y eut-il des diaconesses en Egypte?, in Vetera Christianorum 27 (1990), 369-373.
[16] A.E. Felle, ‘Diaconi’ e ‘diaconissae’ tra Oriente e Occidente, p. 479.
[17] Questi due concili usano il termine latino di diacona.
[18] Cfr. R. Barcellona, Le vedove cristiane tra i Padri e le norme: Annuarium historiae conciliorum 35 (2003), pp. 167-185.
[19] C. Vagaggini, L'ordinazione delle diaconesse nella tradizione greca e bizantina: Orientalia Christiana Periodica 40(1974), pp.145-189.