La natura in San Giovanni Cassiano

Autore: Luciana Maria Mirri

INDICE

1. “Scienza” tra erudizione e carità

2. Le cose “visibili”, linguaggio di quelle “invisibili”

          a. Il “deserto”, teofania del mondo che verrà

          b. Le malattie del corpo, analogia dei vizi dell’anima

          c. Il diamante, allegoria dell’uomo giusto

          d. Tropologia della depressione d’animo

          e. Senso anagogico del Salmo 103, 18

3. Oltre la natura: l’Incarnazione del Signore

4. Conclusione

5. Bibliografia e note

 

1. "Scienza" tra erudizione e carità

 

            La dicotomia tra "cultura" e "santità", "sapere profano" e "scienza divina", in Giovanni Cassiano (360/5-435) segue l’ideale ascetico. Dopo gli studi classici, come testimoniano dotte citazioni nelle sue opere[1], la scelta monastica lo allontana dai generi di "scienze" che "sono numerosi quanta è la varietà delle arti e delle professioni"[2]. Nel suo pensiero, "la vera scienza non è posseduta se non dai veri cultori di Dio"[3] ed è altra cosa dalla "erudizione secolare, inquinata dalla sordidezza dei vizi carnali"[4], che sono presunzione e orgoglio dell'intelligenza autosufficiente e vanagloriosa. Al monaco dice: "Tu devi dunque preoccuparti, se desideri acquistare la scienza delle Scritture, di assicurarti una immobile umiltà di cuore, la quale conduce, non alla scienza che gonfia, ma alla scienza che illumina per mezzo della completezza della carità… Procura perciò di evitare con ogni cautela che sorgano in te motivi di perdizione, prodotti dalla vanità dell'arroganza"[5]. Il riferimento è all'insegnamento dell'Apostolo: "La scienza gonfia, mentre la carità edifica. Se qualcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere" (1Cor 8,2). In Cassiano non è la scienza in sé, sacra o profana, a costituirsi negativa o positiva per la santità, ma la modalità in cui viene appresa e utilizzata. Infatti, pure la "vera scienza", cioè la "scienza delle cose divine"[6], o "degli anacoreti"[7], o "scienza ascetica"[8], se "non verrà frequentemente vagliata ed elaborata in continui confronti con uomini spirituali, ben presto svanirà a causa dell'apatia propria dell'anima"[9].

           

            Tramite l'abate Nestore, insegna che "alla scienza spirituale non si arriva, se non con il criterio delineato dal Profeta: Seminate per voi secondo giustizia, e mieterete la speranza della vita; illuminate per voi il lume della scienza (Os 10,12 [LXX])[10]. Perciò, come tutte le arti hanno "un proprio ordine e procedimento relativo al contenuto dottrinale in modo da poter essere apprese da quanti ne hanno desiderio", così la "scienza ascetica” pure "esige un ordine sicuro e razionale"[11].

Dipendendo da Origene ed Evagrio, Cassiano elabora l'idea della doppia scienza: quella attiva o 'praktiké', che "si acquista con l'emendazione dei costumi e con la purificazione dai vizi", e quella spirituale o 'theoretiké', consistente "nella contemplazione delle cose divine e nella conoscenza delle verità più sacre"[12]. Ma precisa: "La scienza pratica si può possederla anche senza quella teoretica, mentre la scienza teoretica non si può raggiungerla in nessuna maniera senza quella pratica"[13]. L'esperienza è fondamento del sapere cognitivo, però esso è solo presupposto della conoscenza "illuminata"[14], che coglie nella natura creata e negli eventi del mondo l'analogia o il senso divino di tutta la realtà, inducendo alla "conoscenza" del mistero che si rivela. Ciò accade nella Bibbia, fonte unica d'ogni autentico sapere per il "progresso dello spirito e nella scienza delle cose divine"[15].

Per Cassiano, teologo della oratio ignita[16], l'assenza dell'esperienza della virtus nella caritas Christi rende l’asceta "come bronzo che risuona o un cembalo che tintinna" (1Cor 13,1). Descrive "una scienza di falso nome"[17]: il monaco non deve insegnare come quelli che usano perizia d'eloquenza, “poiché riescono ad esporre ornatamente e copiosamente quello che vogliono”, ma non possiedono la scienza spirituale. Infatti, "altra cosa è possedere la facilità nel parlare e lo splendore nel discorrere, e altra è introdursi nel midollo e nell'intimo delle parole celesti"[18].

            La testimonianza evangelica introduce l'asceta nell'intimità divina e lo porta a conoscere, con il "purissimo occhio del cuore, la profondità e la segretezza dei misteri, che in nessun modo saprebbe raggiungere l'umana dottrina e l'erudizione secolare"[19]. Questa è utile figura tropologica, allegorica e anagogica per l'esposizione della scienza spirituale. Egli la usa con conoscenze tratte dalla natura per dare spiegazioni superiori[20], perché l'autentica scienza è sapienza della Verità divina. Essa si colloca tra il linguaggio della conoscenza e il “metodo della carità”, inteso come prassi ascetica per acquisire "la purezza della mente" con la "illuminazione dello Spirito Santo"[21].

 

2. Le cose "visibili" linguaggio di quelle "invisibili"

 

Alcuni esempi di Cassiano sono interessanti: egli contempla natura e sue leggi e utilizza ogni nozione acquisita per esporre verità teologiche. Altre volte applica analogia diretta, passando dalla realtà empirica a quella spirituale. La "scienza naturale" viene da lui assunta al nobile fine di farsi epifania di quella "ascetica" o "teorica", passaggio mediato dalla "scienza attiva" nella carità.

 

            a. Il "deserto", teofania del mondo che verrà

 

            L'ambiente del deserto non è da lui mitizzato. Con Germano, vi ha sperimentato asprezza, disagi e pericoli. Nei racconti degli anacoreti, è cornice al contenuto spirituale con episodi, immagini ed insegnamenti. Dalla descrizione di Cassiano il deserto presenta una natura ostica alla vita, con orizzonti nudi e senza confini. Scrive: "In quei luoghi aridi e sterili non è possibile trovare legna in nessun modo... poiché in quelle regioni non esistono boschi naturali, come da noi". Inoltre, "grandi distese" non hanno strade[22], celano "remoti angoli"[23], si può essere sorpresi da qualche "fortissima tempesta di sabbia" da far "perdere la direzione della strada buona"[24]. La solitudine è la caratteristica principale[25], ma vi abitano "le specie più pericolose dei serpenti e delle bestie feroci"[26] ed è luogo "circondato da un esercito di tali e gravi nemici"[27]. Si tratta di una "aperta vastità"[28], "lontana dalle città e dalle terre abitabili"[29]. Ma l'ultima citazione che Cassiano fa del deserto nelle opere ascetiche lo riscatta: profeti e anacoreti "hanno conseguito, nel silenzio del deserto, una grande familiarità con Dio"[30]. L'immagine naturale del deserto diviene allegoricamente topos teologico dell'infinitudine del mondo divino. Aridità e sterilità richiamano la mortificazione, che è unione con Dio[31], ampie distese senza strade sono eco della Pasqua del Signore[32] nell'esodo d’Israele: "Sul mare passava la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili" (Sal 76,18). Tempeste annebbiano l'orientamento "della strada buona": è l'insorgere delle tentazioni contro l'anacoreta per deviarlo dal "santo viaggio" ascetico deciso nel suo cuore (cf. Sal 83,6). Le "amabili dimore" (Sal 83,2) della solitudine in Dio sono assediate da nemici dell'eremita: i demoni, "la specie più pericolosa di serpenti e bestie feroci"[33]. Si parla di "aperta vastità": l’infinito dei cieli e terra nuovi, lontani da "città e terre abitate", dallo spazio, dal tempo e dalla storia comuni. Come Abramo quando abbandonò tutto (cf. Gn 12,1), il monaco è dinanzi ad una mèta nuova che Dio gli indicherà. Nel deserto, egli è chiamato a diventare "concittadino dei santi", i profeti biblici e gli anacoreti cristiani, e ad essere "familiare di Dio" (cf. Ef 2,19). Il deserto si trasfigura in luminoso cielo che fa da sfondo alla Città santa di cenobiti ed eremiti: la Gerusalemme celeste[34].

 

            b. Le malattie del corpo, analogia dei vizi dell'anima

            Nell'ultima delle Conferenze ai monaci, sulla mortificazione come rinuncia a ciò che rallenta l'unione con Dio, Germano interroga l'abate Abramo sui mali e sul rimedio risalendo alla causa[35]. L'asceta risponde con breve lezione, esordendo che "di tutti i vizi una sola è l'origine e l'inizio", ma dipende quale sia l'elemento dell'anima colpito: se quello razionale o logicón, da cui derivano orgoglio, superbia, eresia e mali affini, oppure la facoltà irascibile o thumikón, donde scaturiscono impazienza, tristezza e crudeltà, o la parte concupiscente o thumetikón, dalla quale vengono golosità, fornicazione e avarizia[36]. Per spiegare questi tre movimenti dell'anima, Abramo ricorre "all'analogia con le malattie del corpo, delle quali, pur essendo unica la causa, viene tuttavia distinto il diverso genere secondo la natura delle membra colpite dal male"[37]. Dalla descrizione medica sulla causa del malessere e l'effetto patologico provocato, si deduce che gli asceti credessero ad un unico principio della malattia, detto "umore cattivo": "noxius umor". Il termine "umor" si riferisce ad ogni liquido del corpo umano, sangue incluso. Se sangue, succhi gastrici, sudore, saliva o altro sono "cattivi" vi è malessere, da cui "cattivo umore" o animo alterato negativamente. Non è un riscontro virale di causa di “inquinamento” dell' "umore" del corpo, ma osservazione di un fenomeno, con deduzione di una legge naturale comune ad ogni problema fisico. Su questo principio venivano specificate le malattie in base alla parte del corpo dolorante. Qui la conoscenza si precisa anche nei termini e a distanza di vent’anni Cassiano ricorda bene i nomi delle patologie. Così annota le parole dell'asceta egiziano: "Allorché la forza dell'umore cattivo occupa la sommità del corpo, cioè la testa, genera il male denominato 'cefalalgia'; quando penetra nelle orecchie e negli occhi, si muta in male 'otalgico' oppure 'oftalmico'; se si porta all'una o all'altra delle articolazioni o all'estremità delle dite, prende il nome di 'artrite' o di malattia 'chiragrica'; quando arriva alle estremità dei piedi, si chiama, con altro nome, 'podagra', sicché con tanti nomi si distingue l'unica e medesima origine dell'umore cattivo, quante sono le membra, in cui esso s'introduce"[38]. Cefalea, otite, congiuntivite, artrite o gotta sono malattie ben descritte da Cassiano e conosciute nel suo tempo. Il noxius umor, colpendo in punti diversi l'organismo, provoca il malessere. Nel corpo è forza negativa, paragonata alla "forza di ogni vizio", e può prendere parti dell’anima, suscitando passioni che sono malattie. Ciò è più chiaro "passando dalle cose visibili a quelle invisibili"[39] e Cassiano ammette la sacramentalità della creazione come epifania dell'unico mistero rivelato, specie nell'uomo soggetto al Creatore.

 

            c. Il diamante, allegoria dell'uomo giusto

           

            Quando illustra il mondo interiore dell'uomo, Cassiano ricorre ad una analogia tratta dalla natura minerale. Il monaco Teodoro, spiega come la persona retta non debba essere influenzabile: "L'anima dell'uomo giusto non deve essere simile alla cera e neppure a qualsiasi altra materia molto molle, la quale, essendo sempre in grado di adattarsi alle impronte di ciò che preme, si configura a quella traccia e a quell'immagine, e la conserva in sé finché non la muta in una nuova figura in base ad una nuova impronta"[40]. La malleabilità della cera prende forma da altri. Non vi è giudizio positivo o negativo sull'elemento in sé, ma sulla sua facile trasformabilità. Può adattarsi a immagine belle, ma può riceverne anche deformate: non acquista mai una sua immagine originale, bensì quella di altro. Non si dice che sia necessariamente peccatore chi è così fragile, ma ciò non rientra nell'impassibilità in Dio del vero credente. Più che di "santo", si parla di "uir iustus", la cui anima "deve essere come un sigillo di diamante, in modo che la nostra mente, serbando sempre inviolabile l'immagine del proprio essere, configuri e trasformi gli eventi che le incorrono nella condizione del proprio stato, senza per questo lasciarsi mai eludere da alcun'altra impressione"[41]. Cassiano indica personalità adulta quella capace di essere se stessa, libera da condizionamenti. Parla di "mente" per dire soggettività attiva che non prende passivamente forma da fattori esterni, ma decide, esercita libertà sovrana in sé. L'incisione del diamante, la pietra più dura - e la più malleabile al fuoco - è analogia per dire la qualità dell'uomo, immagine e somiglianza di Dio fino "alla piena maturità di Cristo" (Ef 4,13). Il contrasto dato sull'esempio della cera e del diamante allude al presupposto della chiamata alla santità: una coscienza solida nei propri valori e libera di testimoniarli.

 

            d. Tropologia della depressione d'animo

           

            Descrizione di tensione interiore è nel colloquio di Cassiano e Germano con l'abate Daniele. Si parla di una situazione di mutamento improvviso e apparentemente senza causa dello stato d'animo in persone "giuste", attribuito a fattori morali o spirituali. Interessante è la spiegazione della condizione di stanchezza depressiva. I due monaci si associano nell’esporre il problema: "Talvolta, stando in cella ci sentivamo presi da tanta ebbrezza di cuore e da esuberanza di sentimenti santi" indicibili, fecondi in preghiera. "Ma ecco, d'altra parte, e senza l'intervento d'alcuna causa, sentirci sorpresi da tanta improvvisa angoscia e oppressi da certa irrazionale mestizia al punto da riconoscerci del tutto inariditi nei nostri sensi, non solo, ma da farci sentire orrore per la cella e ripugnanza per la lettura, e da renderci perfino la preghiera incostante". E nonostante ogni violenza per scuotersi, "la mente restava svuotata d'ogni frutto spirituale"[42]. Molte possono essere le cause di tale forma di depressione temporanea: insufficiente varietà alimentare e carenza di qualche sostanza all'organismo, oppure una prolungata monotonia di vita spoglia di stimoli, clima assai caldo, stanchezza psicologica per il rigoroso dominio di sé. Anche l'età può essere un fattore, poiché i due amici accennano al passaggio da uno stato d'animo esuberante e creativo ad uno desolato e arido, come accade a giovani emotivamente impegnati. L'abate Daniele risponde con un insegnamento morale e ascetico che dà senso tropologico al racconto per emendazione della vita dei monaci: "Triplice è la causa… atta a spiegare la sterilità della nostra mente, a cui ora voi avete fatto cenno. Essa dipende dalla nostra negligenza e dall'assalto del demonio, oppure dalle disposizioni del Signore"[43]. Circa le ultime, due sono le ragioni del tedio: la prima, che noi, abbandonati a noi stessi, apprendiamo l’essere dono di grazia lo stato felice e non opera dei nostri sforzi; la seconda sta nella prova divina per "saggiare la nostra perseveranza, la costanza e l'aspirazione della nostra mente"[44].

 

            e. Senso anagogico del Salmo 103, 18

           

            Interpretazione spirituale della natura applicata ai segreti della vita mistica del monaco si trova nella Conferenza X. Cassiano usa il Salmo 103,18: "I monti sono per cervi e le rocce sono un rifugio per gli iràci". L'insegnamento dell'abate Isacco descrive le abitudini degli animali citati, applicando il senso anagogico. L'asceta che si difende dai demoni che lo insidiano diviene "simile all'iràcide", che "esce protetto dal costante riparo della roccia". Nel caso del monaco, la roccia a scudo difensivo è il Vangelo, oppure la forza derivante dal meditare la passione del Signore. Come il mammifero del salmo, egli "affronta vittoriosamente il nemico che lo assale": satana[45]. L'anagogia prosegue su di un piano ancora superiore. Con l'aggiunta di un aggettivo, l'abate Isacco precisa la propria interpretazione di un testo biblico che applica a tutti: "Gli iràci, popolo imbelle, che ha costruito sulle rupi le proprie case"[46] sono gli "iràci spirituali", perché nulla "v'è di più debole di un cristiano, più infermo di un monaco", al quale "nemmeno è concesso di concepire, sia pure internamente, una pur leggera e tacita reazione". Non atto alla guerra come gli scoiattoli, il popolo di Dio non conosce vendetta nella persecuzione, "vincendo con il bene il male" (cf. Rm 12,21), e in esso i monaci sono baluardo di resistenza "con la semplicità dell'innocenza"[47]. Isacco poi descrive i cervi che corrono per le rocce dei monti, calpestando con gli zoccoli rettili pericolosi nascosti tra i sassi. Ad essi paragona il monaco "divenuto uno sterminatore di serpenti velenosi", perché forte della "virtù della discrezione" tiene "il vinto satana sotto i propri piedi"[48]. Con un aggettivo offre il passaggio al significato superiore: il monaco rappresenta "la figura di un cervo razionale in virtù dell'alacrità della propria mente", per la quale "egli potrà pascersi sui monti dei profeti e degli apostoli", cioè "si pascerà dei loro eccelsi e sublimissimi insegnamenti"[49].

 

3. Oltre la natura: l'Incarnazione del Signore

 

            Cassiano, con riferimenti desunti dalla natura vegetale o animale, elabora il suo trattato contro Nestorio sull'Incarnazione del Signore [50]. Nella prima lettera di Nestorio a Celestino I, tra le varie questioni cristologiche viene esposta quella per la quale "la nascita comporta una riproduzione connaturale, da parte di chi genera, nei confronti di colui, al quale è fatto dono della vita", per cui ne deriva l'essere "necessario che una vera madre sia della stessa natura, secondo la quale da lei è derivato il generato" e che "nessuno può generare uno anteriore a sé nel tempo"[51]. Cassiano non nega le leggi della natura, però argomenta il loro superamento per intervento del Creatore, perché secondo Gal 4,4 il Padre "non mandò il figlio di qualche altro", ma "è detto che mandò il Figlio suo, e non avrebbe potuto in nessun modo mandarne un altro, visto che un altro non v'era da mandare". Perciò, essendo Cristo Dio, esisteva prima della propria Madre, la quale "non soltanto partorì Chi era a Lei anteriore", ma "diede alla luce il suo stesso Creatore" divenendo "Madre di Colui che l'aveva creata". E spiega: "In realtà, quanto fu agevole a Dio procurare la nascita all'uomo, altrettanto fu agevole per Lui procurarla a se stesso; e quanto fu facile per Lui far nascere l'uomo, altrettanto gli fu facile nascere Egli stesso dall'uomo"[52]. Il Creatore della natura usufruisce delle leggi delle quali è Autore e le utilizza quando si fa creatura. Quindi, "se in questa operazione è stata compiuta qualche parte unicamente in base all'azione dell'uomo, procura tu di esporre le ragioni umane. Se invece quanto è stato compiuto nella sua totalità è il risultato della potenza di Dio, a quale scopo ti rifugi nell'impossibilità umana, dove invece dovresti scorgere la presenza operativa di Dio?"[53]. Anticipando di circa vent'anni il dogma di Calcedonia, Cassiano argomenta che Cristo è "ugualmente della stessa natura del Padre e della Madre", ma data "la diversità delle persone, Egli riportò da ciascuno dei parenti la loro propria somiglianza", per cui "fu della stessa natura del Padre quanto alla divinità, e della stessa natura della Madre secondo l'umanità". In conclusione, rimanendo l'unico e medesimo Signore Gesù Cristo, "nascendo uomo e Dio, ebbe in se stesso le proprietà dell'uomo e dell'altro suo parente", recando in sé "la somiglianza dell'umanità della Madre e, per il fatto d'essere Dio, la verità della divinità di Dio Padre"[54]. Nestorio obiettava dover essere un figlio della stessa natura di chi lo genera. Sul fatto che Gesù Cristo è nato non da normale concepimento, Cassiano poi confuta Nestorio sul non porre a confronto il Creatore con le creature, "poiché non poté essergli di ostacolo la legge delle creature, essendo Egli il creatore dell'universo"[55]. Segue descrizione di dati naturali: "Infatti, tutti gli animali che partoriscono altri animali a loro posteriori nel tempo, solo che Dio lo voglia, potranno partorire anche più facilmente altri animali, a loro stessi di molto anteriori. I cibi e le bevande, qualora Iddio lo voglia, possono convertirsi in determinati concepimenti e in qualche prole"[56]. Altri esempi trae dalla Bibbia: l'arrivo delle quaglie "senza origine" (cf. Nm 11,31) o della manna (cf. Es 16,13). Ciò dimostra che "nulla è impossibile a Dio" (cf. Lc 1,37) e che l'Autore delle leggi della natura può agire oltre le stesse[57]. Vi sono riferimenti anche alla materia di alcuni miracoli: l'acqua a Cana tramutata in vino (cf. Gv 2,3ss.), o l'acqua e il fango posti sugli occhi del cieco (cf. Gv 9,1ss.)[58]. Non è lecito parlare della nascita di Cristo applicando "leggi comuni ad un uomo qualsiasi", in quanto l’onnipotenza che Egli manifesta in tutte le realtà terrene ha manifestato l’onnipotenza nella sua nascita umana[59].

Viene infine considerata la legge naturale. All'obiezione di Nestorio che la prole deve essere della medesima natura di chi la partorisce, il monaco risponde: "Io addurrò esempi derivati dalle realtà naturali proprio per convincerti che molti esseri nascono da altri esseri a loro dissimili"[60]. Questo dice non per confronto tra Creatore e creature, bensì per dimostrare all'eretico che anche in piccole realtà naturali è possibile avvenga ciò che egli contesta all'Onnipotente. Con idee note al mondo classico scrive: "Le api, pur essendo minuscoli insetti, sono tuttavia prudentissime e laboriosissime, e noi leggiamo che esse sono originate e derivano da scaturigini naturali molto diverse… vengono infatti generate dalla selezione di certi fiori prodotti dalle erbe"[61]. Il concetto è pure in Aristotele[62], e Cassiano pensa che da elementi inanimati derivino esseri viventi. Dove ha osservazione empirica le sue conoscenze scientifiche sono più ortodosse: delle api descrive il corpo, il ronzio, "l'accordo armonioso delle loro zampette, l'istinto delle loro bocche e l'eleganza delle loro ali", così come il perfetto istinto della loro società. Sull'origine di questi insetti, si chiede come sia possibile, non avendo esse ricevuto esperienza da "madri" e "padri"[63]. Così Cassiano pensa avvenga la generazione delle api: "Il nettare (succo) dei fiori viene semplicemente introdotto negli alveari, e da esso, attraverso una misteriosa operazione, escono fuori le api… né le api sono prodotte dalle api… Tali insetti vivi sono prodotti dai fiori delle erbe"[64]. Eppure, non v'è parentela né somiglianza alcuna tra erbe ed insetti. Lo stesso dice della genesi delle cavallette. Passando infine ad un esempio del mondo animale aggiunge: "È accertato che dalle uova di certi uccelli, in Egitto chiamati 'Ibis', nascono i serpenti 'basilischi'. Quale parentela e quale consentaneità può esservi tra un uccello e una serpe?… Eppure tutti questi esseri si comportano così, senza generarsi e senza sapere che nascono, e diventano tali per cause latenti e per una legge di natura generativa, inesplicabile e molteplice"[65].

 

4. Conclusione

           

            Cassiano si muove nelle conoscenze scientifiche ereditate dagli studi classici, dalle opinioni della cultura dominante e dall'osservazione della natura. Usa dati acquisiti con la capacità d'osservazione del contemplativo, che vede nelle creature l'armonia e la perfezione delle leggi del Creatore. Quanto non comprende, non gli suscita problema, perché l'autentica "scienza degli esseri" non sta nella visione superficiale degli stessi, ma nel passaggio dalla contemplazione del mondo sensibile a quella delle realtà spirituali. Non vi è in Cassiano ostilità aperta al sapere razionale, forse per la sua capacità di porlo a servizio della "vita filosofica": l’ascesi cristiana. Anche quanto non rientra nella logica della ragione, egli lo rimanda con semplicità al mistero della divina potenza, sempre operante (cf. Gv 5, 17), specie là dove si tratti della generazione della vita. Cassiano non si pone problematiche biologiche per i procedimenti organici nei viventi, anche quando si meraviglia di trasformazioni che sembrano supporre salti di specie o da materia inorganica ad organica, o da genere vegetale ad animale. Tutta la realtà visibile è per lui ombra delle perfezioni del mondo invisibile e divino. A tale titolo, la usa come un linguaggio catechetico per ammaestrare su verità superiori. Tutta la natura è parabola delle verità spirituali. Infine, è con l'evento dell'Incarnazione che la natura trova la propria massima epifania di gloria. Nell'unione ipostatica del Verbo incarnato si coniugano mirabilmente natura umana e realtà visibile con natura divina e realtà invisibile. Nella loro perfetta sinergia, dato naturale e dato soprannaturale si spiegano a vicenda e vengono pienamente restituiti alla loro manifestazione di reciproca simbiosi ermeneutica: il primo a gloria del secondo ed il secondo a fine e compimento del primo.

 

  1. Bibliografia e note

 



[1] Per le opere di Cassiano: per i testi critici latini: Institutions cénobitiques (= Inst.), par J.C. Guy, SC 109, Paris 1965; Conférences (= Conf.) I-VII, VIII-XVII, XVIII-XXIV, par E. Pichery, Sources Chrétiennes (= SC) 42, 54, 64, Éd. du Cerf, Paris 1955; 1958, 1959; De Incarnatione Domini contra Nestorium (= De Inc.), par M. Petschenig, Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum (= CSEL) 17, Bibliopola Acad. Litt. Caes. Vindobonensis, Pragae, Vindobonae, Lipsiae 1988, 234-391; per i testi italiani: Le istituzioni cenobitiche, a cura di L. Dattrino, Scritti Monastici, Abbazia di Praglia (Padova) 1989; L'Incarnazione del Signore, [collana di testi patristici 94], a cura di L. Dattrino, Città Nuova, Roma 1991; Conferenze ai monaci (I-X), vol. 1 [Testi Patristici 155], (XI-XXIV), vol. 2 [Testi Patristici 156], a cura di L. Dattrino, Città Nuova, Roma 2000.

[2] Conf. XIV, 1, in SC 54, 183.

[3] Conf. XIV, 16, in SC 54, 203.

[4] Conf. XIV, 16, in SC 54, 205.

[5] Conf. XIV, 10, in SC 54, 195.

[6] Inst. I, 11, 1, in SC 109, 52.

[7] Inst. II, 9, 3, in SC 109, 74.

[8] Inst. V, 33, in SC 109, 242.

[9] Inst. Praef. 5, in SC 109, 26.

[10] Conf. XIV, 16, in SC 54, 203.

[11] Conf. XIV, 1, in SC 54, 183.

[12] Conf. XIV, 1, in SC 54, 184.

[13] Conf. XIV, 2, in SC 54, 184. Cf. Th. Špidlík, La spiritualità dell'Oriente cristiano, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1995, 73-74.

[14] Cf. Inst. II, 14, in SC 109, 84.

[15] Inst. I, 11,1, in SC 109, 52.

[16] Cf. Conf. IX, 25, in SC 54, 61-62.

[17] Conf. XIV, 16, in SC 54, 204.

[18] Conf. XIV, 9, in SC 54, 194-195.

[19] Ibid. 195.

[20] Cf. Conf. XIV, 8, in SC 54, 189-192: nella scienza spirituale, Cassiano delinea l'uso di allegoria, anagogia e tropologia.

[21] Conf. XIV, 9, in SC 54, 195.

[22] Istit. IV, 21: SC 109,150.

[23] Istit. V, 36,1: SC 109,248.

[24] Istit. V, 40,2: SC 109,256.

[25] Cf. Istit. VIII, 18,1: SC 109,358; Conf. II, 2: SC 42,112-114; Conf. II, 5: SC 42,116-117; Conf. VII, 22: SC 42,265.

[26] Istit. VIII, 19,1: SC 109,360.

[27] Conf. VII, 22: SC 42,265.

[28] Conf. II, 6: SC 42,117.

[29] Istit. X, 24: SC 109,422.

[30] Conf. XIV, 4: SC 54,185. Cf. S. Pricoco, L'isola dei santi. Il cenobio di Lerino e le origini del monachesimo gallico, Ed. dell'Ateneo e Bizzarri, Roma 1978, 155-169.

[31] Cf. Conf. XXIV, 2-11: SC 64,172-183.

[32] Cf. Istit. IV, 34: SC 109,172-174.

[33] Cf. Istit. II, 10,3: SC 109,76.

[34] Cf. L. Mirri, Teologia della vita eremitica in San Cassiano, in Il monachesimo tra eredità e aperture, a cura di M. Bielawski e D. Hombergen, Studia Anselmiana 140, Roma 2004, 551-557.

[35] Cf. Conf. XXIV, 14, in SC 64, 186

[36] Cf. Conf. XXIV, 15, in SC 64, 187.

[37] Ibid. in SC 64, 186-187.

[38] Conf. XXIV, 15, in SC 64, 187.

[39] Cf. Conf. XXIV, 15, in SC 64, 187.

[40] Conf. VI, 12, in SC 42, 238.

[41] Ibid.

[42] Conf. IV, 2, in SC 42, 168.

[43] Conf IV, 3, in SC 42, 168.

[44] Conf. IV, 4, in SC 42, 169.

[45] Conf. X, 11, in SC 54, 91.

[46] Cf. Pr 30, 26 [LXX]. Cf. Conf. X, 11, in SC 54, 91.

[47] Conf. X, 11, in SC 54, 91-92.

[48] Ibid.

[49] Ibid.

[50] Cf. L. M. Mirri, Il pensiero teologico di Cassiano nel "De Incarnatione", in Vox Patrum 23 (2003), t. 44-45, 259-284. Per la questione dei documenti inviati da Nestorio a Roma e del riferimento di Cassiano cf. E. Amann, L'affaire Nestorius vue de Rome, in Revue de Sciences Religieuses 23 (1949), 5-37.207-244; 24 (1950), 28-52.235-265.

[51] F. Loofs, Nestoriana. Die Fragmente des Nestorius, Halle 1905, 167-168. Trad. italiana in: Giovanni Cassiano, L'Incarnazione del Signore, Introduzione a cura di L. Dattrino, 44.

[52] De Inc. IV, 2, in CSEL 17, 287.

[53] De Inc. V, 1, CSEL 17, 303.

[54] De Inc. VI, 13, in CSEL 17, 340-341.

[55] De Inc. VII, 2, CSEL 17, 354-35.

[56] Ibid.

[57] Cf. De Inc. VII, 3, in CSEL 17, 356.

[58] Cf. De Inc. VII, 3, in CSEL 17, 357.

[59] Cf. De Inc. VII, 4, in CSEL 17, 357-359.

[60] De Inc. VII, 5, in CSEL 17, 359.

[61] Ibid.

[62] Cf. Hist. anim. V, 21.

[63] Cf. De Inc. VII, 5, in CSEL 17, 359-360.

[64] Ibid.

[65] Ibid., 360-361.

Last modified: Tuesday, 18 May 2021, 2:16 PM