La "Lectio Monastica" delle prime eremite cristiane
Autore: Luciana Maria Mirri
INDICE
1. Premessa
2. Egitto
2.1 Alessandra la Reclusa: la lectio del dies aeternitatis
2.2 Eufrasia l'Anziana: la lectio della pietas
2.3 Eufrosina-Smaragdo: la lectio della contemplatio
2.4 Sarra: la lectio della sapientia
2.5 Sincletica: la lectio della magna exercitatio
2.6 Taide: la lectio delle lacrimae
2.7 Teodora: la lectio dell’innocens passio
3. Siria
3.1 Marana e Cira: la lectio della Christiana peregrinatio
3.2 Domnina: la lectio dell' orare cum Ecclesia
3.3 Maria nipote di Abramo: la lectio della magna humilitas
4. Palestina
4.1 Pelagia: la lectio dell’absconsae divitiae
4.2 Maria Egiziaca: la lectio del cor ignitum
5. Rilievi conclusivi
1. Premessa
Poco conosciute nella loro esperienza ascetica sono le donne che dal III al V secolo si ritirarono nei deserti dell'Egitto, della Palestina e della Siria per condurre vita radicale di "sequela Christi", espressa da S. Girolamo con la frase: "seguire nudo Cristo nudo"[1]. E il deserto è "nudità": umana, nell'assolutezza di solitudine, di silenzi profondi e duraturi; naturale, di ambienti spogli; di elementi di vita come acqua e cibo; spirituale, nell'assenza pressoché totale di conforti religiosi esteriori, di lotta interiore o di combattimento contro satana. È la "nudità" di un nuovo martirio per nuovi eroi cristiani. Come tra i martiri eccellono uomini e donne d'ogni età e condizione sociale, così in questo nuovo stato di vita per Cristo si distinguono per virtù cristiane eroiche uomini e donne in pari presenza e merito. Nella letteratura del deserto non è difficile imbattersi in episodi come quello narrato tra gli apophthegmata di abba Bessarione, che con un confratello s'imbattè in un eremita rivenuto morto in una grotta: "Mentre così facevamo, per poi seppellirlo, scoprimmo che era una donna. Il padre, stupito, mi disse: 'Vedi come anche le donne sconfiggono satana, mentre noi, in città, facciamo una ben meschina figura?'. Lasciammo quel luogo dando gloria a Dio che protegge coloro che lo amano"[2]. Di queste sante ascete poco si conosce per un fattore predominante non dettato da pregiudizio verso la presenza femminile: la discrezione. Infatti, se per gli anacoreti la fuga dal mondo si tradusse in una forma di nascondimento per l'umiltà di celare "il segreto del re" e rifuggire fama e celebrità, ancora di più nascondimento e riservatezza furono osservati dalle ascete. Gli uomini della cultura del deserto ne rispettarono la scelta, anche quando la "curiosità santa" di conoscerne il progresso spirituale avrebbe potuto indurli a violare quel ritiro. Sulle monache cenobite pure si conosce poco. La discrezione prevalse sempre e nel caso delle eremite soltanto la casualità permessa dalla divina provvidenza ha fatto sì che si conoscessero esperienze degne di essere tramandate. Per loro va poi aggiunto che, oltre il desiderio di scomparire per una vita di unione con Dio e contro il pericoloso peccato di orgoglio, anche il comune senso del pudore fu determinante a questo nascondimento: gli abiti presto si logoravano e la spogliazione della "nudità del deserto" diventava effettiva, come le tradizioni sorte attorno alla figura di una Maria egiziaca vestita di soli capelli lasciano intendere[3]. Le testimonianze pervenute sono per lo più indirette. Poche figure, come l'ammà Sarra furono a contatto con altri asceti. Per le altre, le notizie sono riportate dalla fama sanctitatis o da donne stesse, incaricate di contrattarle, come il caso di Alessandra la Reclusa in Egitto, la cui referente è Melania l'Anziana nel racconto di Palladio[4], o di Sincletica, dagli insegnamenti della quale si formò una comunità femminile. Per molte si tramanda la testimonianza di anacoreti che le incontrarono, come abbà Zosima per Maria Egiziaca, e conoscerne la storia. Altre vissero persino in incognita, sotto mentite spoglie maschili, in mezzo a comunità di uomini, in celle appartate per condurre vita solitaria: l'intera comunità si rese poi testimone di racconti che ne conservano la memoria con il nome e le virtù. Di tante resta solo il cenno dell’esistenza, come nel racconto di abba Bessarione citato. Difficile dire quante furono, benché l'eco nella letteratura maschile si mantenga sempre vivo su di un modello ed una esemplarità che, se narrata, è perché all'uomo stesso richiama valori essenziali alla sua scelta di sequela di Cristo nel deserto, come per esempio l'umiltà teologale e radicale di cui sono capaci alcune grandi peccatrici, prevalenti in questa letteratura, oppure l'ardore innamorato della preghiera o la capacità di osare per amore l'impossibile, dimenticandosi nel puro desiderio di Dio e nella fede incondizionata della misericordia. Teodoreto di Ciro, a termine della Storia di monaci siri, presenta tre figure di ascete: Domnina, Cira e Marana, avvertendo di farlo "senza distinguere le virtù degli uomini da quelle delle donne, senza dividere l'ascesi in due classi, perché la differenza è nei corpi e non nelle anime"[5]. Medaglioni di alcune di queste figure non le vuole distinguere sul genere femminile di vergine, sposa o vedova, bensì per geografia delle regioni desertiche medio orientali nelle quali la loro vicenda si svolse. Si tratterà per ultima il loro exemplum magnum: Maria Egiziaca.
2. Egitto
2.1 Alessandra la Reclusa: la lectio del dies aeternitatis
Palladio riporta nella Storia Lausiaca notizie date dal direttore spirituale di questa giovane donna: il sacerdote Isidoro di Alessandria d'Egitto. Egli, a sua volta, è stato informato da Melania l'Anziana. Siamo dinanzi al caso di una eremita in una tomba. I sepolcreti erano zone isolate dai centri abitati e costituiti da grotte ricavate nella roccia. Asceti potevano abitare in queste piccole caverne che offrivano uno spazio vitale sufficiente. Alessandra stette in uno di questi sepolcri dieci anni. Aveva chiuso l'ingresso lasciando una fessura attraverso cui ricevere "il necessario per sopravvivere". Non vide più "volto di donna o di uomo". Si nascose anche per la sua bellezza fisica. A Melania che andava a trovarla "secondo la consuetudine", confida: "Un uomo si è sconvolta la mente per me; e io… ho preferito rinchiudermi viva nella tomba, piuttosto che scandalizzare un'anima fatta ad immagine di Dio". La stessa Melania mai la vide. Il breve racconto informa su come abbia potuto vivere per tanto tempo senza cadere in stati depressivi definiti "tedio e solitudine": "Dall'alba fino all'ora nona prego ogni ora, tessendo il lino; durante le rimanenti ore, mi aggiro col pensiero tra i beati patriarchi e i profeti, gli apostoli e i martiri; dopo aver mangiato il mio pane, trascorro le altre ore facendomi forza e attendendo la fine con speranza fiduciosa". A memoria recita i salmi delle ore canoniche e scandisce la giornata dall'alba alla notte in una sorta di sacra liturgia in cui si evidenzia una forma di "Ufficio della Passione di Cristo" da terza a nona, compiendo in questa meditazione anche un lavoro manuale: tessere il lino. Poi l'attenzione va alla Storia della Salvezza dall'Antico al Nuovo Testamento, cioè da Abramo, Isacco, Giacobbe, i Profeti fino agli Atti degli Apostoli. Segue una riflessione sull'eroismo dei martiri cristiani, la cui memoria era vicinissima per tempi storici: i monaci si sentivano i loro diretti eredi. Infine, come in una ripetizione dell'Ultima Cena, a sera c'è il pasto. La notte veglia in attesa dell'alba escatologica: la risurrezione. Da questa "memoria del futuro" si rinnova la forza per il sacrificio del nuovo giorno terreno in attesa del Signore.
2.2 Eufrasia l'Anziana: la lectio della pietas
Va distinta dall'omonima figlia, che visse sette anni monaca in una comunità femminile, e figura nel calendario dei santi d'Oriente con il marito Antigone[6]. Le notizie su di lei ci informano che nella proprietà agricola dove rimase a vivere sola dopo la morte del coniuge e l'ingresso in monastero di Eufrosina la giovane, condusse vita ascetica, preferendo la solitudine alla vita cenobitica. Al monastero si recava soltanto per alcune liturgie comuni, come la recita dei salmi con le monache. Di lei si ricorda la pietà eucaristica per il gesto di un'offerta per la lampada del Santissimo Sacramento e la devozione alla Passione del Signore con riferimento al Crocifisso. Come altre eremite, Eufrasia l'Anziana gode della conoscenza anticipata dell'ora del suo trapasso: si congederà dalla figlia tre giorni prima, raccomandando la fedeltà alle promesse fatte al Signore, il timor di Dio, il rispetto per le consorelle del monastero e il compito di distribuire ai poveri la sua cospicua eredità[7].
2.3 Eufrosina-Smaragdo: la lectio della contemplatio
Siamo di fronte a una eremita che per essere tale si travestì da monaco, riuscì a farsi ammettere in una comunità maschile e, date le sembianze inevitabilmente effeminate, vi condusse vita ritirata. È la storia di una ragazza di Alessandria d'Egitto del V secolo, affascinata dall'ideale ascetico che vedeva praticato in un vicino monastero frequentato dal padre Pafnuzio, amico dell'abate Teodosio[8]. La ragazza, orfana di madre, a 18 è promessa sposa, ma è affascinata dall'ideale monastico e si confida con un asceta incontrato al mercato. Riceve da lui conferma e incoraggiamento. Il monaco, ricevuto in casa, procede alla sua consacrazione con il taglio dei capelli e la vestizione di abiti penitenziali. Eufrosina muta gli abiti femminili in quelli maschili e per non essere rintracciata dal padre, che la cerca nelle comunità femminili, va al monastero dei monaci spacciandosi per un eunuco convertito e desideroso di far penitenza. Abbà Teodosio accetta quel nuovo "fratello" di nome di Smaragdo e gli impone un'obbedienza a rispetto della virtù degli altri monaci a causa del suo "bel viso": "Fratello, vivrai sotto la sorveglianza di padre Agapito, come un vero solitario. Sarà in questa cella isolata che reciterai l'ufficio e prenderai i pasti"[9]. Ella non sperava altro e presto si distinse per virtù e santità. Si sa della stima di cui godette perché, a Pafnuzio disperato nella ricerca della figlia, dopo anni un giorno lo stesso abbà consiglia e permette l'incontro con quel "fratello" che avrebbe potuto dirgli parole di speranza. Eufrosina riconosce il padre, ma non così lui la figlia, sia per l'insospettabile luogo e travestimento, sia per i tratti mutati nel tempo, sia per il cappuccio da lei calato a copertura del viso. In uno di questi incontri Pafnuzio apprende che di lì a tre giorni la sua speranza sarebbe stata esaudita. Eufrosina-Smaragdo è infatti ormai in punto di morte e dopo una specie di triduo pasquale, chiama il padre, si fa riconoscere, raccomanda che sia lui solo a ricomporre il suo corpo e muore. L’ultimo desiderio dell’asceta è femminile: è in una comunità maschile e chiede al padre di seppellire il suo corpo di donna. Tra lo stupore dei monaci, l'abbà Teodosio elogia l’asceta "sposa di Cristo e figlia di santi". Nel racconto emerge la familiarità con le Scritture che "fratel" Eufrosina-Smaragdo acquisisce con lectio divina diurna e notturna.
2.4 Sarra: la lectio della sapientia
È tra le Madri del deserto più famose e i suoi detti sono raccolti con quelli dei Padri: molti li ammaestrò con la sua saggezza ed esperienza ascetica[10]. È citata nell' Epistola 237 di Barsanufio, che scrive: "… quando i tuoi peccati antichi sono stati cancellati, tu fai a gara per cadere in peccati peggiori attraverso la finestra della giustificazione. Cessa, fratello, perché non è buona via questa; ha detto infatti la madre Sarra: Se voglio piacere a tutti gli uomini, mi ridurrò ad inchinarmi alle loro porte"[11]. L' insegnamento è una lezione della eremita che spesso diceva: "Se prego Dio perché tutti gli uomini siano pienamente soddisfatti di me, mi troverò a far penitenza alla porta di ognuno"[12]. È uno dei rari casi in cui sono pervenute, dello stesso detto, due versioni distinte, che sembrano spiegarsi a vicenda con una corretta ermeneutica della parola dell'Apostolo adeguata a chi vive nel deserto: "Come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo, così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori" (1Ts 2,4). Gli anacoreti hanno coraggio di testimoniare la verità e da questa donna c’è più vigore di testimonianza della virtù ascetica. Dalla sua "regola ascetica" basilare scaturiscono altri propositi della sua vita in Dio, da lei espressi così: "Pregherò perché il mio cuore sia puro con tutti"[13], dove "cuore puro" sta per sentimenti ed emotività non condizionati dall'altrui giudizio: altrimenti manifesterebbe un "io" attivo nell'orgoglio della considerazione di sé e non nel "piacere a Dio". Della sua umiltà ammà Sarra lascia un magnifico detto. Per 13 anni sopportò come un martirio violente tentazioni carnali. Con mitezza ella sopportava pregando semplicemente: "O Dio, dàmmi forza!"[14] e quando sconfisse il demone impuro, esso le apparve urlando: "Tu mi hai vinto, Sarra!". Subito ella rispose: "Non io ti ho vinto, ma il mio Signore, Cristo!"[15]. Come i martiri, era consapevole che non lei, bensì il Figlio di Dio vivesse nella sua debolezza e potesse vincere l'impari lotta nel deserto della sua anima.
2.5 Sincletica: la lectio della magna exercitatio
Fu attribuita a S. Atanasio una Vita di questa donna della Macedonia, abitante poi in Alessandria d'Egitto e vissuta fino a circa 84 anni: gli ultimi con una dolorosa malattia. Rifiutato il matrimonio, fece vita ascetica in casa paterna, poi in un sepolcro: un sacerdote la consacrò e le tagliò i capelli. Il suo nascondiglio fu scoperto da altre donne che si riunirono in vita comune e le chiesero di essere loro maestra. La tradizione le dà il titolo di "badessa", ma ella visse separata da loro, alle quali dette insegnamenti[16]. In essi distingue tre fasi del cammino ascetico: pratica della castità, temperanza e preghiera già in seno al mondo; intensificazione di questo con più austerità di vita; abbandonare tutto e ritirarsi nella solitudine[17]. Pilastro dell'ascesi di ammà Sincletica fu il digiuno, considerato il fondamento della temperanza, virtù monastica eccellente da abbinare alla preghiera[18]. I suoi detti hanno esempi tratti dalle mansioni quotidiane muliebri, come sulla "povertà", "bene perfettissimo", perché "come infatti si lavano gli abiti resistenti sbattendoli e torcendoli con forza, così anche l'anima forte, mediante l'indigenza volontaria, diventa più forte ancora"[19]. Con immagine femminile, si umilia parlando della meditazione delle Scritture: "Perché mi credete più saggia di voi?… Non ci nutriamo alle due stesse mammelle della fede che sono il Vecchio ed il Nuovo Testamento?"[20]. Due sono i suoi insegnamenti importanti: sulla malattia e sull'eremo interiore. Nel primo insegna: "Non rattristiamoci se per l'infermità e l'abbattimento del corpo non abbiamo forza di salmeggiare con la voce. Tutto questo ci è accaduto per purificarci dalle passioni, perché il digiuno e il dormire per terra sono stati stabiliti per contrastare i piaceri. Ma se la malattia ha già affievolito le passioni, questo motivo è superato. È questa la grande ascesi: resistere alle malattie ed elevare a Dio inni di grazie"[21]. Nel secondo avvisa: "E' possibile, vivendo assieme a molti praticare con la volontà una vita solitaria e, vivendo da soli, essere con la mente in mezzo alla folla"[22].
2.6 Taide: la lectio delle lacrimae
Questa convertita e penitente del sec. IV è molto conosciuta anche nella spiritualità occidentale. Prima dell'intervento dell'abbà Pafnuzio, ad Alessandra d'Egitto Taide era prostituta, finché il monaco Pafnuzio in incognito va da lei e la sua preghiera compie il miracolo. La giovane cade ai suoi piedi, piange e implora: "Dammi una penitenza, abbà; confido infatti, con la tua preghiera, di ottenere il perdono dei peccati"[23]. Taide è rinchiusa nella cella di un monastero femminile. Attraverso una finestrella riceve pane a acqua e per le preghiere l’asceta le dice: "Non sei degna di nominare Dio, né di portare sulle tue labbra il nome della divinità e neanche di levare le mani al cielo, poiché le tue labbra sono piene di iniquità e le tue mani sono macchiate di sozzure; ma soltanto, sedendo, guarda verso oriente, ripetendo spesso solo queste parole: «Tu che mi hai plasmata, abbi misericordia di me» "[24]. Lì è dimenticata per tre anni. Poi Pafnuzio si ricorda di lei, va e l'interroga sul suo segreto ascetico. Ella risponde: "Prendo a testimone Dio che da quando sono entrata qui ho sempre posto davanti ai miei occhi tutti i miei peccati e mai i miei peccati si sono allontanati dai miei occhi, ma sempre, guardandoli, piangevo"[25]. Quindici giorni dopo morì.
2.7 Teodora: la lectio dell' innocens passio
Sposata e ricca, questa donna attratta dalla vita ascetica decide di abbandonare la famiglia e, sotto spoglie maschili per non essere riconosciuta, si ritira nel deserto in una comunità di monaci a 18 miglia da Alessandria. Teofilo, arcivescovo di quella città dal 385 al 412, le aveva profetizzato: "Se ti accusano ingiustamente, traine guadagno con la sopportazione e la speranza"[26]. In monastero, Teodora divenuta Teodoro, è accusata di essere il "padre" di un bambino abbandonato davanti la sua cella. Cacciata con il piccolo nel deserto, per sette lunghi anni vive di stenti, svezzando il piccolo, nutrendosi di erbe e latte di capra ella stessa. Riammessa ,in comunità in una cella appartata, morì due anni dopo: si scoprì allora la verità dell'ingiusta accusa nella sorpresa che quell'asceta era una donna. Tre suoi insegnamenti illuminano su questa esperienza dell' "eremo" in questo caso profondamente interiore per l'incomprensione degli uomini e reso sopportabile da amore e umiltà non comuni. Tra i suoi detti si legge: "Soltanto attraverso molte sofferenze e tentazioni possiamo diventare eredi del regno dei cieli"[27]. Ancora, le si attribuisce una lezione del senso dell'ideale ascetico: "È cosa buona cercare l'unione con Dio nella quiete, l'uomo saggio persegue questa quiete"[28]. Sembra la spiegazione più chiara dell'evangelico "unum" necessario connesso alla "parte migliore" scelta da Maria (cf. Lc 10, 42). Il mezzo per conseguire questo fine è indicato: "Tieni il cuore rivolto a Dio"[29]. Ella riuscì a "comprare il tempo con l'umiltà"[30], come le aveva insegnato Teofilo: il tempo dell'eternità con la moneta del silenzio-verità.
3. Siria
3.1. Marana e Cira: la lectio della Christiana peregrinatio
Di loro riferisce Teodoreto di Ciro nella sua Storia dei monaci della Siria. Queste due donne nobili, native di Berea-Aleppo, avevano scelto di vivere nell'eremo di un recinto fuori città, sigillando la porta con pietre ed argilla[31]. I contatti con l'esterno erano minimi. Di Cira dice che "nessuno ha potuto mai sentire la voce", mentre Marana, nel tempo di Pentecoste, parlava alla finestra con altre donne[32]. Vissero così per 42 anni, cariche di catene di ferro, finché furono sollecitate a toglierle. Siamo davanti alle "stravaganze" dell' anacoretismo siriaco. Una novità è il pellegrinaggio. Marana e Cira vanno ai luoghi Santi per "l'adorazione del Signore", digiunando nel viaggio, pregando e non parlando. Si recano a Seleucia di Isauria "per visitare la tomba della vittoriosa Tecla", nella tradizione discepola di S. Paolo e protomartire donna. Motivo da loro addotto: "Accendere in quel luogo la fiamma dell'amore divino"[33]. Il contatto "fisico" con l'età apostolica e dei martiri le fa ritornare "rapite dal fascino di Dio ed inebriate di amore divino per lo Sposo"[34].
3.2. Domnina: la lectio dell' orare cum Ecclesia
Teodoreto parla delle sue nobili origini e della sua "reclusione" domestica. Egli l'ha incontrata e ricorda il suo esprimersi con lacrime: "Spesso mi ha preso la destra, l'ha appoggiata ai suoi occhi e me l'ha restituita bagnata di lacrime"[35]. Si era costruita una capanna nel giardino di casa e mangiava lenticchie. Dalle persone era "separata" da un "velo, piegato fino alle ginocchia": nessuno vedeva il suo volto. Due volte al giorno andava in chiesa per partecipare alla salmodia e ai sacramenti. Teodoreto dice che vi andava "non solo al sorgere, ma anche al tramonto del sole", alludendo ai tempi dell'Ufficio divino. Il suo commento su questa "asceta delle lacrime" è: "L’'amore ardente di Dio fa sgorgare quelle lacrime quando lei si immerge nella contemplazione divina e quando è punta dal desiderio di lasciare questo mondo", fino ad essere "presa per giorni e notti da questi pensieri"[36].
3.3. Maria nipote di Abramo: la lectio della magna humilitas
L’asceta stava fin da bambina con lo zio eremita. Autore della Vita, quasi una sorta di "parabola del figliol prodigo" applicata alla vita ascetica sul pentimento, l'umiltà e la misericordia, è il diacono Efrem. Il racconto spicca per pathos umano e spirituale e dà l'unico caso di abbandono del deserto per il mondo e ritorno[37] Efrem è testimone dei fatti, perché era eremita vicino ad Abramo, zio di Maria. I salmi, le Sacre Scritture, veglie e digiuni erano la regola. In questo "sublime amore per Dio" la ragazza visse 20 anni[38], finché arrivò un monaco "tale solo di nome" che la sedusse. "Non mi resta più speranza di salvezza"[39], dice Maria, piangendo di non essere più vergine. Fugge in una città e vive da prostituta. Lo zio, dopo due anni di preghiera, va a cercare la nipote. La riconosce in un postribolo, dove è entrato vestito da cavaliere. L'incontro è patetico, perché il cuore della ragazza non è mutato: la disistima di sé l'ha indotta all’ "autodistruzione". Lo zio insegna la speranza nella misericordia divina per tutti egualmente data: "Chi è senza peccato se non Dio solo?"[40]. Su tale base è il vero inizio della vita ascetica di Maria, che nel pentimento perfetto e nel battesimo delle lacrime si affida allo zio: "Se sai che posso far penitenza e che Dio accoglierà la mia riparazione, ecco verrò, come comandi: va' avanti e io seguirò la tua santità e bacerò le tue orme, poiché hai tanto sofferto per me da condurmi fuori dalla voragine dell'impurità"[41]. Come nel Vangelo della peccatrice che molto ha amato perché molto le è perdonato (cf. Lc 7,36-50), così Maria ha grande zelo ascetico: "Che cosa, Signore, Dio mio, potrò darti in cambio di tutte queste cose?" (cf. Sal 115, 12)[42]. È la parabola della misericordia che a tutti ricorda la parola del Signore: "Misericordia voglio e non sacrificio" (cf. Mt 9, 13), cioè il primato dell'amore, dal quale tutto il resto consegue.
4. Palestina
4.1. Pelagia: la lectio dell' absconsae divitiae
Eustochio, la discepola diletta di S. Girolamo, ha tradotto il testo[43] del diacono Giacomo di Edessa, segretario del vescovo Nonno, protagonista della conversione della bellissima attrice di Antiochia, dove il vescovo Massimiano aveva convocato i confratelli per un sinodo. Durante una processione di questi vescovi, passa tra lo schiamazzo di molti l'affascinante Pelagia. L'unico a non turbarsi di quella femminile bellezza e ad apprezzarla è Nonno, che considera il poco zelo per Dio che loro, uomini ecclesiastici, dimostrano in confronto a quello del mondo per ciò che è effimero. L'indomani egli predica pubblicamente, Pelagia incuriosita ascolta e in piena assise sinodale corre a gettarsi in lacrime ai piedi di Nonno: "Ti prego, mio Signore - esclama - imita il tuo maestro, il Signore Gesù Cristo, e riversa su di me la tua bontà e fa' di me una cristiana. Io infatti, mio signore, sono un mare di peccati e un abisso di iniquità. Chiedo di essere battezzata"[44]. Pelagia riceve da Nonno il battesimo, l'unzione crismale e l'Eucaristia. Otto giorni dopo, depone l'abito battesimale, si riveste d'una tunica, indossa la cotta dell'amico vescovo e scompare da Antiochia. Oltre tre anni dopo, Giacomo va a Gerusalemme per la Pasqua. Nonno l'incarica di recare i propri saluti ad "un certo fratello Pelagio, monaco ed eunuco", che là abita "rinchiuso in solitudine"[45]. Sul Monte degli Ulivi, Giacomo trova in una cella con piccola finestra la persona indicata. Fa l'ambasciata, riceve breve risposta con saluti e raccomandazione a Nonno di ricordo nella preghiera. In Gerusalemme raccoglie notizie di fama di santità di quell'asceta. Per tre giorni bussa invano alla finestrella, finché la sfonda e trova l'asceta morto. Quando monaci e padri vanno per ricomporre la salma, si conosce essere una donna: Pelagia. Il popolo prorompe in una lode: "Gloria a te Signore Gesù Cristo, che hai molte ricchezze nascoste sulla terra, non solo maschili, ma anche femminili"[46].
4.2. Maria Egiziaca: la lectio del cor ignitum
La Vita Sanctae Mariae Aegyptiacae esalta il tema della metanoia e del penthos, basi della vita eremitica e della spiritualità del deserto, considerando conversione e afflizione non solo esteriore penitenza, ma interiore nel rapporto con Dio. L'accostamento del monaco Zosima con la figura della peccatrice Maria offre un "contrasto" efficace. Le condizioni dei due asceti sono agli antipodi per antitetico paradosso: quella di Maria è peccaminosa e poi penitente, l'altra è latrice della lezione per aprirsi alla perfezione non ancora conseguita, nonostante molti sforzi. Risultato sarà l' "exemplum magnum" sulla virtù principale dello stato monastico: il primato della convergenza di umiltà-carità. Il racconto, stilato con ricchezza di dettagli, diviene anche fonte sulle tradizioni cenobitiche ed eremitiche in Palestina. Zosima incontra Maria durante il ritiro della grande Quaresima fuori dal monastero. Desiderava parlare con un asceta, lo avvista, ma fugge. Lo raggiunge, ma sente dire di non avvicinarsi: l'eremita è una donna e senza vestiti. L'incontro è possibile per il prestito del mantello di lui per rivestirla. La gara di umiltà e il manifestarsi di fenomeni straordinari in lei, come il sollevarsi "da terra quasi un cubito e pregare sospesa nell'aria"[47], creano un'atmosfera soprannaturale. La donna possiede doni di profezia: di lui conosce il nome ed il monastero di provenienza, per il quale da giudizi e consigli. Zosima le chiede di conoscere la sua vita e conversione. "Le mie parole macchiano anche l'aria"[48], dice Maria. Fuggita di casa a 12 anni, ne visse 17 nella lussuria e 47 eremita in Palestina. Fu l'insaziabilità del desiderio sessuale a indurla ad imbarcarsi in una nave piena di uomini diretti in Terra Santa per celebrare a Gerusalemme la festa dell'Esaltazione della Santa Croce. In cambio del viaggio offrì se stessa e durante il tragitto indusse a peccare, anche nella Città Santa, molti pellegrini. Un particolare informa che fosse donna affetta da malattia: non dà il suo corpo per denaro, perché vive di lavori di confezioni. Il giorno della festa vuole entrare nella Basilica del Santo Sepolcro, ma una forza misteriosa per tre volte la respinge. Impressionata, vede non lontano un'icona della Madre di Dio e con pianto e pentimento, si appella alla Vergine con orazione eco della teologia di Efeso (431), chiedendo la grazia di vedere il Sacro Legno della Croce di Cristo[49]. Promette di non cedere più al vizio e prende a protettrice della nuova vita la Vergine. Senza difficoltà entra nel Tempio e partecipa alla preghiera di adorazione della Santa Croce. Racconta: "E allora conobbi i misteri di Dio e come egli è pronto ad accogliere i penitenti"[50]. Esce, torna all'icona e supplica Maria con titoli bellissimi: "misericordiosa", mediatrice della grazia della conversione dei peccatori, "guida di salvezza", “maestra di verità”, "Regina di tutto il mondo"[51]. Va al Giordano e si bagna, entra nella vicina chiesa, quella dedicata al Battista, e riceve l'Eucaristia e si inoltra nel deserto. Per 17 anni tentazioni la assalgono, tanti anni quanti ha trascorso nel peccato. La seconda parte della Vita narra una liturgia di "iniziazione escatologica" di Maria. Al congedo da Zosima, gli dà appuntamento per l'anno successivo, al Giordano, il Giovedì Santo, con raccomandazione di recare "in un vaso sacro e degno di tanto grande mistero una porzione del divino Corpo e del vivificante Sangue"[52]. Un anno dopo, all'ora dell'Ultima Cena, la donna compare e attraversa il fiume camminando sulle acque. Segue una liturgia simile a quella dei "presantificati", con recita del Credo e del Padre nostro, lo scambio del bacio della pace tra i due asceti, finché "accogliendo i vivificanti doni dei sacramenti, stendendo le mani al cielo e gemendo con lacrime, gridava: Ora lascia, o Signore, che la tua serva vada in pace secondo la tua parola, poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza" (cf. Lc 2, 29-30). Dopo questo "nunc dimittis", ripassò il Giordano. L'anno ancora successivo, Zosima la cerca nel deserto, ritrova la grotta del loro primo incontro e lì l'eremita morta. A fianco una scritta sulla terra chiedeva: "Seppellisci, abbà Zosima, il piccolo corpo della misera Maria. Restituisci alla terra ciò che è suo e aggiungi polvere alla polvere. Prega, soltanto, nel nome del Signore, per me che sono morta in questo primo giorno del mese di farnuti secondo gli egiziani, che secondo i romani è il quinto prima delle idi di aprile, il giorno della salvifica passione, dopo la comunione alla divina e sacra cena"[53]. Maria, di cui qui si svela il nome, era deceduta il Venerdì Santo dell'anno precedente e Zosima apprende che in una notte aveva fatto percorso di circa 20 giorni. La liturgia di un’esistenza è compiuta con la presenza di un leone che aiuta l'anziano a seppellirla, scavando con le zampe la terra. L'animale è simbolo del principe della pace: rinvia perciò alla risurrezione[54]. L'Oriente cristiano celebra Santa Maria Egiziaca la Quinta Domenica di Quaresima (dei digiuni), detta Di Santa Maria Egiziaca: è esempio di convertita e penitente. La Chiesa copta l'ha nel culto della Vergine Maria guida dei penitenti e potente interceditrice per i casi disperati. Nella cristianità orientale è venerata il 1° aprile[55].
5. Rilievi conclusivi
Nel dono incondizionato di sé le eremite hanno "scalato il cielo" divenendo gradini della "scala del Paradiso" e testimoniando che "il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono" (Mt 11, 12). Al modello militare della lotta contro il male o dell'impresa ascetica "atletica", caratterizzanti il monachesimo maschile, le Vite e i Detti delle "madri del deserto" aggiungono il primato dell'amore col loro vissuto di "sapienza del cuore" e di "sapientia humilitatis". La vanagloria aveva spinto Zosima nel deserto: "Si trova forse tra coloro che hanno fatto una vita solitaria, un uomo che sia prima di me nelle opere?"[56]. Dio gli dà una lezione con una convertita. Con Maria Egiziaca si ha un caso della preghiera pura al di fuori d'ogni norma e dell'ordinaria via dei "perfetti". Il simbolo dei 20 giorni di faticoso cammino compiuto da Zosima nel deserto e bruciati dall'ultimo viaggio della grande eremita è la metafora di dei 53 anni da lui compiuti nella retta ascesi, bruciati in tutte le tappe dalla penitenza e dalla preghiera della santa. Non c'è egoismo in questa "fuga mundi" seguendo il carisma dello stato monastico il cui precetto è "l'obbedienza", nelle parole stesse dell'eremita[57]. Zosima e Maria si sono spogliati del mondo per purificarlo in Dio immergendosi col mondo in Dio. La donna chiede all'interlocutore: "Come viene governata oggi la stirpe dei cristiani? Come governano gli imperatori e come viene pascolato il gregge della santa Chiesa?"[58]. Interessante è notare che ella, dotata di carisma profetico, non ha conoscenza di quanto accade nel mondo. Zosima risponde sapendo che non chiede per curiosità, ma per conoscenza del frutto della sua vita: "Madre, per le tue sante preghiere Dio ha elargito una pace stabile… Prega per tutto il mondo e anche per me peccatore"[59]. È la sottolineatura che nel monachesimo, "via perfectionis", questo è il carisma-"ministero" specifico: l' "obbedienza" al dono di Dio, sia che si viva in comunità, sia che si viva in solitudine eremitica, nella "via caritatis".
6. Bibliografia e note
[1] Hieronymus, Ep CXXV, 20: CSEL 56,142.
[2] VitP III, 194: PL 73, 802. In italiano: Vita e Detti dei Padri del deserto (VeD) I, a cura di Luciana Mortari, Città Nuova, Roma 1975, 155-156 (Apoph. 4,XX/1).
[3] Oltre il racconto di carattere liturgico attribuito a Sofronio di Gerusalemme (Vita S. Mariae Aegyptiacae, quae ex meretrice asceta facta est in solitudine Jordanis, in PG 87/III, 3697-3726, tradotta in latino da Paolo Diacono: PL 73, 671--690), abbiamo per esempio il racconto della cantora Maria in Bibliotheca hagiographica graeca 1449 (Bruxelles 1909) e ancora, assai simile, di una monaca di Gerusalemme nell'opera di Giovanni Mosco Pratum spirituale, al capitolo 179: PG 87/III, 3049-3050, oppure SC 12, 234-236. Non manca infine un riferimento che si confonde con Maria Maddalena, nel testo di Onorio di Autun, Speculum Ecclesiae. De Sancta Maria Magdalena: PL 172, 981. L'iconografia presenta spesso Maria Egiziaca: in Oriente insieme all'abbà Zosima prostrato dinanzi a lei; in Occidente esempi sono: al Santuario di La Verna, nella robbiana all'ingresso della basilica a destra, a Verona a S. Zeno e al Santuario mariano di Jasna Góra nella sacrestia attigua alla Cappella della Madonna Nera.
[4] Cf. Historia Lausiaca V: PG 34, 1015-1016; cf. in italiano: La Storia Lausiaca, a cura di G.J.M. Bartelink, Fondazione Lorenzo Valla, Fizzonasco (MI) 1990.
[5] Religiosa Historia (=HistR) XXX: PG 82, 1494. In italiano: Teodoreto di Cirro, Storia di monaci siri, a cura di A. Gallico, [Collana Testi Patristici 119], Città Nuova, Roma 1995; idem, Storia dei monaci della Siria, a cura di S. Di Meglio, Messaggero, Padova 1986 (usato nel presente testo).
[6] Cf. Vitae Patrum (VitP): PL 73, 623-644, sotto il titolo di Vita Sanctae Euphrasiae virginis (VSE), cioè della figlia.
[7] VSE 12: PL 73, 629.
[8] Cf. Vita Sanctae Euphrosynae virginis (=VitaE): PL 73, 643-652. Esiste una Vita metafrastica in PG 114, 305321.
[9] VitaE 8: PL 73, 647.
[10] Cf. De matre Sara (=ApS), in Apophthegmata Patrum: PG 65, 419-422. In italiano: VeD II, 190-191.
[11] Barsanufio e Giovanni di Gaza, Epistolario, a cura di M.F.T. Lovato e L. Mortari, [Collana Testi Patristici 93], Città Nuova, Roma 1991, 269.
[12] VeD II, 5,191.
[13] ApS 5: PG 65, 419.
[14] ApS 1: PG 65, 419.
[15] ApS 2: PG 65, 419.
[16] Vita Sanctae Syncleticae (=VitaS): PG 28, 1485-1558; De matre Syncletica (=ApSyn), in Apophthegmata Patrum: PG 65, 421-428. In italiano: Una donna nel deserto. Vita della monaca Sincletica, a cura di M. Todde, Milano 1989; VeD II, 192-201.
[17] VitaS 12: PG 28,1494.
[18] Cf. ApSyn 3: PG 65, 422.
[19] ApSyn 5: PG 65, 422.
[20] VitaS 21: PG 28, 1499.
[21] ApSyn 8: PG 65, 423.
[22] VeD II, 198 (Apoph. 19); Vita Syn 97: PG 28, 1516-1517.
[23] Vita Sanctae Thaisis meretricis (=VitaT) 1: PL 73, 661. In italiano cf. B. Ward, Donne del deserto, Qiqajon, Bose 1993, 99-109. L'Autore è animo.
[24] VitaT 2: PL 73, 662.
[25] VitaT 3: PL 73, 662.
[26] De matre Theodora (=ApT) 1: PG 65, 202. In italiano cf. VeD I, 237-241.
[27] ApT 2: PG 65, 202.
[28] VeD I, 239.
[29] VeD I, 241.
[30] ApT 1: PG 65, 202.
[31] Historia Religiosa (=HistR) XXIX: PG 82, 1482-1492; SCh 257, 232-239. Nel testo italiano: pp. 219-221.
[32] HistR XXIX: PG 82, 1491.
[33] HistR XXIX: PG 82, 1491.
[34] Ibid.
[35] HistR XXX: PG 82, 1494.
[36] Ibid. Cf. SCh 257, 240-251. In italiano, Teodoreto, Storia dei monaci della Siria, 222-225.
[37] Vita Sanctae Mariae meretricis neptis Abrahae eremitae (=VitaMA), in VitP: PL 73, 651-660. In italiano, cf. B. Ward, Donne del deserto, 111-132.
[38] VitaMA 2: PL 73, 653.
[39] Vita MA 3: PL 3, 654.
[40] VitaMA 9: PL 73, 657.
[41] VitaMA 9: PL 73, 657-658.
[42] VitaMA 9: PL 73, 658.
[43] Cf. Vita Sanctae Pelagiae meretrix (=VitaP), Prologus Interpretis, in VitP 73, 663-664: In italiano cf. B. Ward, Donne del deserto, 75-97.
[44] VitaP 7: PL 73, 667.
[45] VitaP 13: PL 73, 669-670.
[46] VitaP 15: PL 73, 670.
[47] VitaME 10: PL 73, 678-679.
[48] VitaME 14: PL 73, 680.
[49] VitaME 16: PL 73, 682.
[50] VitaME 17: PL 73,682.
[51] VitaME 17: PL 73,683.
[52] VitaME 20: PL 73, 685.
[53] VitaME 25: PL 73, 688.
[54] Sepoltura analoga avviene per Paolo di Tebe: cf. Hieronymus, Vita S. Pauli 16 [R. B. Degórski], Commento, 40.
[55] Cf. T. Federici, 'Resuscitò Cristo!' , Palermo 1996, 922; Anthologhion II, Roma 2000, 858-868; III, 616-618; Sinassario, 6 barmudah: CSCO 90, 62; G. Gianberardini, Il culto mariano in Egitto III, Jerusalem 1978, 423-424.
[56] VitaME 2: PL 73, 674. Lo stesso pensiero, nella Vita di Paolo di Tebe, muove S. Antonio alla ricerca di un anacoreta che lo precedesse nell'ascesi: cf. B. Degórski, Appunti per una ricostruzione dell'influsso della Vita S. Pauli Primi Eremitae sulla Vita S. Mariae Aegyptiacae, in Studia Patristica, vol. XXXV, Leuven 2001, 65-80.
[57] VitaME 10: PL 73, 678.
[58] Ibid.
[59] Ibid.